In scena non c'e niente. Solo uno sgabello, poi i corpi. Quello "musicale" del tromponista Paul Hubweber e quell ecclectico, incredibile di Jean Laurent Sasportes. Uno strano tipo! Assomiglia a Woody Allen, ha detto uno appena lo ha visto comparire in scena. Ma luì è alto, lungo, prende lo spazio! Francese nato a Casablanca, studioso di matematica, fisica e filosofia, ad un certo punto decide che per lui era meglio la danza e ad essa si vota, completamente, sino ad approdare alla scuola di Pina Bausch divenendo interprete di numerosi spettacoli. Una danza impressionista e minimale quella che abbiamo visto sabato 25 aprile, sul palcoscenico dei cantieri Koreja. Il publico non era numeroso e questo favoriva un clima giusto. Ci sono spettacoli che "chiamano" solo lo sguardo. Allertano un'attenzione che si costruisce momento dopo momento, inquietano anche per la dilatazione dei tempi dell'accadere, per le attese, per le divergressiono che propongono. Spettacoli che chiamano a misurarsi con la fatica, come a condividere quella di chi sta in scena. Per decantare e poter godere appieno la visione. E' il caso delle piccole pieces che Jean Laurent Sasportes ha presentato. Un cresendo che pian piano ha ammutolito i sussuri di inquietudine del publico, accompagnandoli al riso, alle condivisione, allo stupore. Personaggi strani, surreali ma insieme presenti nell'unmaginario quotidiano, capita d'incrontarli come stranezze disarmanti, ordinarie; un uomo con spesse lenti, vestito d'un vrded acido (Security), una ragazza giovane tutta moine e vezzi (Young girl); la Diva con tutto l 'ammamentario del continuo travestimento ed occhio dibue a seguire (Diva); un cantante danzatore (Che sera sera); una vacchia nena che lascia a bocca aperta. Personaggi calibrati, teruti in movimento che ossessivamente per ognuno ritornato, scrivendo nelle accentuazioni i caratteri, portati, "danzati", quasi sempre da un passo in semipunta come ad esasperare l'equilibrio del danzatore, portarlo al limite della tenuta come la musica, anche questa mai corsolatoria, tesa al cercare una impossibile "amonizzazione" con l'altro sul palco e con chi guarda lentamente inghiottito dal divenire della scena. Una danza provocatoria e piena di pudore, modulata di volta in volta secondo il principio del l'improvvisazione structturata, che passo dopo passo, nota dopo nota, scrive la fascinazione. Mario Marino.
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